La vita, i libri e le grandi bevute del “maledetto” Charles Bukowski

di evamascolino | 04.03.2024

Un viaggio attraverso la vita, il pensiero e le opere di Charles Bukowski (1920-1994), scrittore americano "maledetto" conosciuto anche con lo pseudonimo di Henry Chinaski - suo alter ego letterario - e autore di libri cult quali "Post Office", "Factotum", "Donne", "Panino al prosciutto" e "Storie di ordinaria follia". Tra romanzi, racconti, poesie, grandi bevute e citazioni indimenticabili...


Irriverente, lucido e tagliente, Charles Bukowski (1920-1994), al secolo Heinrich Karl Bukowski, è stato uno scrittore dall’esistenza spesso sregolata e difficile, ma che con i suoi libri ha lasciato il segno nella letteratura del Novecento, dimostrando che esiste una maniera di essere al tempo stesso profondi e ironici, crudi e romantici, disillusi e amanti dei piaceri della vita.

Un viaggio attraverso la biografia, il pensiero e le opere dello scrittore americano di origine polacco-tedesca, conosciuto anche con lo pseudonimo di Henry Chinaski (suo alter ego letterario) e autore di libri cult quali Post Office, Factotum, Donne, Panino al prosciutto e Storie di ordinaria follia

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Vita di un “allegro ubriacone”

Un “allegro ubriacone“: è così che Charles Bukowski definisce sé stesso, finendo per riassumere in due parole alcuni dei tratti distintivi della sua personalità. Quello del buonumore, spesso tuttavia serpeggiante e un po’ caustico, e quello del forte legame con l’alcol che ha caratterizzato gran parte della sua vita.

Ma la biografia dello scrittore statunitense non si esaurisce di certo qui, e anzi fin dai primi anni si rivela interessante perché ci fa capire fino a che punto la sua esistenza sia stata segnata da alterne vicende, precarietà e cambiamenti.

Heinrich Karl Bukowski nasce infatti ad Andernach, in Germania, il 16 agosto del 1920, ed è figlio di un soldato americano di origini polacco-tedesche e di una emigrante dalla città di Danzica, che all’epoca fa parte della Prussia. I due mettono su famiglia da giovani, ma nel 1923 sono costretti a spostarsi negli USA, e più precisamente a Baltimora, per via della poco solida economia tedesca.

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Qui Charles Bukowski, che inizia a farsi chiamare Henry Charles per integrarsi meglio, fa fatica in realtà a sentirsi totalmente a suo agio: è solitario, introverso, e per di più viene preso in giro per il suo abbigliamento e il suo accento, finendo per trascorrere molto tempo fra le percosse di un padre frustrato e le prime bevute, quando un amico lo inizia al vino a 14 anni.

La sua giovinezza passa poi fra gli studi disordinati e scostanti, la passione per la scrittura e i primi viaggi e rapporti con le donne: è in questo periodo che Charles Bukowski incontra infatti Jane Cooney Baker, il suo primo amore, ed è nel 1944 che pubblica il suo primo racconto, mentre il mondo è ancora scosso dalla seconda guerra mondiale.

Lui, che per fortuna viene dichiarato inadatto al servizio militare, partecipa a un paio di manifestazioni pacifiste ma non si schiera mai davvero con nessuna delle parti in causa, frequentando per alcuni anni ambienti politici anche molto lontani fra loro per poi dedicarsi a una vita sempre meno impegnata, fatta principalmente di riflessioni esistenziali e di lavori di ogni sorta.

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Non riuscendo subito a sfondare nel mercato editoriale, Bukowski si fa assumere infatti come postino a Los Angeles, città a cui resterà per sempre affezionato in maniera viscerale, e in seguito come archivista, finché nel 1969 non accetta l’offerta della casa editrice Black Sparrow di ricevere 100 dollari al mese per tutta la vita, se solo si dedicherà alla scrittura a tempo pieno.

È così che dà alle stampe i primi romanzi e riesce finalmente a ricevere la considerazione della critica, per poi comporre nuove poesie e racconti man mano che – superando con fatica la morte della sua musa Jane Cooney Baker – frequenta donne come Barbara Frye, Frances Smith (da cui avrà la sua unica figlia, Marina Louise), Linda King, Liza Williams, Tammie, Tanya e Linda Lee Beighle, tutte presenti in misura maggiore o minore nelle sue opere.

Non sarà mai in grado di allontanarsi del tutto dagli alcolici, e il 9 marzo 1994 muore per via di una leucemia fulminante: i suoi funerali vengono celebrati da alcuni monaci buddisti e la sua lapide, che si trova al Green Hills Memorial Park di LA, reca l’incisione di un pugile e un’epigrafe di sole due parole, Don’t try, tratte da una sua lettera famosa del 1963.

Qualcuno in uno di questi posti [a un incontro con i giovani appassionati di scrittura, ndr]… mi chiese: “Cosa fai? Come scrivi, come crei?”. Non lo fai, gli dissi. Non provi. È molto importante: non provare, né per le Cadillac, né per la creazione o per l’immortalità. Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po’. È come un insetto in cima al muro. Aspetti che venga verso di te. Quando si avvicina abbastanza, lo raggiungi, lo schiacci e lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto ne fai un animale domestico.

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Nella mente di un poeta “maledetto”

La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità.

Più volte associato agli esponenti della Beat Generation, per via del suo anticonformismo condito dal già citato debole per l’alcol e per le donne, Charles Bukowski ha dichiarato personalmente di non sentirsi del tutto affine a nessuna corrente letteraria, finendo per essere descritto come un poeta “maledetto” al di fuori di qualunque possibile schema.

Gli autori che lo hanno influenzato di più, a suo dire, sono stati John Fante, Henry Miller e J. D. Salinger, ma anche Louis-Ferdinand Céline, Anton P. Čechov, Franz Kafka, Fëdor M. Dostoevskij ed Ernest Hemingway.

Da loro ha preso in prestito non solo il pensiero e la poetica, ma spesso anche un certo modo sincopato di usare la punteggiatura, una concezione angosciosa e disfattista della vita, alternata a una di stampo più edonistico che, a sua volta, non trascura i lati più insolenti, fatalisti e altruisti dell’esistenza.

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Un’insolita commistione di opposti che riproduce a piè pari nella scrittura, dedicandosi a opere sempre biografiche o comunque ispirate alle sue esperienze, e che descrivono una relazione quasi maniacale con il corpo, con i vizi, con la morte e con la dimensione del quotidiano, opposta ai grandi temi impegnati del suo tempo.

Come scrive l’Enciclopedia Treccani, del resto, Charles Bukowski “ha espresso in modo provocatorio, con ripetitività talvolta eccessiva, una protesta del tutto aliena da ogni pretesa d’incidenza politica, che si traduce in oscenità divertita e pervasa da rabbia anarcoide“.

Il tutto generando centinaia di racconti brevi, sei romanzi e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri che con il tempo sono stati tradotti in decine e decine di lingue, rendendo Charles Bukowski un caposaldo ormai imprescindibile nel panorama letterario del XX secolo.

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Il “realismo sporco” di romanzi, racconti, poesie

La sua vasta produzione, ascritta da alcuni critici al cosiddetto “realismo sporco“, è arrivata in Italia a partire dagli anni Settanta, anche se ha visto un interesse crescente dagli anni Novanta in poi, per poi affermarsi definitivamente come fenomeno pop nei primi anni Duemila.

A colpire di Charles Bukowski è la lingua caustica, il godimento che non nasconde nell’infrangere tanti tabù delle società occidentali, e l’oscillazione costante fra l’autocompiacimento e la depressione, fra la violenza e gli slanci d’amore verso il prossimo, che possiamo ritrovare già nel suo primo romanzo, Post Office, edito nel 1971 e ora ripubblicato in Italia da TEA in occasione dei trent’anni dalla scomparsa dell’autore, insieme a una selezione di altre sue opere (tradotte da Simona Viciani).

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Queste tendenze si possono ritrovare anche nei suoi romanzi successivi, ovvero Factotum, Donne, Panino al prosciutto, Hollywood, Hollywood! e Pulp, anche se forse in maniera ancora più disinibita e puntuale le possiamo osservare nelle sue storie brevi, contenute in diverse raccolte fra cui menzioniamo Storie di ordinaria follia, A Sud di nessun Nord, Niente canzoni d’amore e Confessioni di un codardo, portate in Italia da Guanda e da Feltrinelli.

È nella forma del racconto, infatti, che Charles Bukowski affina e distilla la sua visione del mondo, rifiutando la banalità e gli eufemismi per celebrare invece l’importanza della libertà, della goliardia, della spiritualità e perfino della follia.

Nella dimensione della poesia, invece, viene fuori in particolare la sua tendenza a creare aforismi che sono quasi sentenze, piccoli concentrati di verità universali che non girano mai troppo intorno a un concetto, e che descrivono con lungimiranza e con una punta di acredine la condizione transitoria e destabilizzante a cui viene sempre sottoposta la nostra vita.

Un po’ come accade ne La morte si fuma i miei sigari (Death Is Smoking My Cigars), un componimento in cui lo scrittore si pone a tu per tu con la morte e, anziché lasciarsene intimidire, riesce a giocare perfino con lei, facendoci riflettere su ciò che conta davvero e sul valore della scrittura stessa, grazie al suo linguaggio immediato e di forte impatto:

Sai com’è: sono qui ubriaco ancora
una volta
e ascolto Tchaikovsky
alla radio.
Gesù, lo sentivo quarantasette anni
fa
quando ero uno scrittore morto di fame
ed eccolo qui
di nuovo
ora io sono uno scrittore con un po’
di successo
e la morte va
su e giù
per questa stanza
e si fuma i miei sigari
beve qualche sorso del mio
vino
mentre il vecchio Pietro continua a darci dentro
con la sua “Patetica”,
ho fatto un bel pezzo di strada
e se ho avuto fortuna è
perché ho tirato bene
i dadi:
ho fatto la fame per l’arte, ho fatto la fame per
riuscire a guadagnare cinque dannati minuti, cinque ore,
cinque giorni,
volevo soltanto buttare giù qualche
frase,
il successo, il denaro non importavano:
io volevo scrivere
e loro volevano che stessi alla pressa meccanica,
in fabbrica alla catena di montaggio
volevano che facessi il fattorino in un
grande magazzino.

Be’, dice la morte, passandomi accanto,
ti prenderò comunque,
non importa quello che sei stato:
scrittore, tassista, pappone, macellaio,
paracadutista acrobatico, io ti
prenderò…
okay, baby, le dico io.
Adesso ci beviamo qualcosa insieme
mentre l’una di notte diventano
le due
e lei solo sa
quando verrà il
momento, ma oggi sono
riuscito a fregarla: mi sono preso
altri cinque dannati minuti
e molto di
più.

[nlscuola]

Fonte: www.illibraio.it


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