Una poesia che risplende nel buio: “Il tempo è una madre” di Ocean Vuong

di Redazione Il Libraio | 14.02.2023

"Il tempo è una madre", la nuova raccolta di poesie di Ocean Vuong, è un viaggio doloroso e intimo nei ricordi del passato. L'autore americano d'origine vietnamita, che si è già fatto conoscere per il romanzo "Brevemente risplendiamo sulla terra", torna sui temi dell'abbandono, del dolore e dell'identità, questa volta utilizzando un linguaggio ancora più evocativo e viscerale - L'approfondimento sul volume e, in esclusiva su ilLibraio.it, una poesia dalla raccolta e il video dell'autore, che legge e racconta i suoi versi


Scritto all’indomani della morte di sua madre, Il tempo è una madre (Guanda, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan), libro di poesie di Ocean Vuong (nella foto di Peter Bienkowski, ndr), è un viaggio doloroso e intimo nei ricordi del passato.

L’autore americano d’origine vietnamita, che si era già fatto conoscere per il romanzo Brevemente risplendiamo sulla terra (La nave di Teseo, traduzione di Claudia Durastanti), torna ancora una volta sui temi dell’abbandono, del dolore e dell’identità, questa volta utilizzando un linguaggio ancora più evocativo e viscerale, che ribadisce l’importanza che Vuong affida alla parola poetica.

È una parola che salva, che permette di tornare indietro e di rivivere momenti pieni d’amore. Ma è anche una parola logorata e ruvida che, scavando in profondità, lascia emergere relitti di una vita sofferta e segnata dalla perdita: “Finalmente, dopo anni e anni, sono diventato un perdente professionista. / Sono imbattibile a perdere”.

il tempo è una madre ocean vuong

La madre di Vuong, Lê Kim Hồng – un nome che significa ‘rosa’ in vietnamita (da cui prende il titolo la struggente poesia Cara Rosa) – è deceduta all’età di 51 anni a causa di un cancro al seno nel novembre del 2019, pochi mesi prima dello scoppiare della pandemia. Il tempo è una madre, con le sue 28 poesie, racconta il tentativo del poeta di metabolizzare non solo la morte del genitore, ma anche tutto ciò che essa rappresenta nella sua esistenza.

Il Guardian scrive che la poesia di Vuong “richiede polmoni”, ed è vero. C’è qualcosa, nei versi dell’autore, che costringe a trattenere il respiro, perché quello che stai leggendo ti spinge negli abissi.

Ci sono ponti da cui “certi ragazzi si sono fatti fantasmi”, mani che tremano sporche di sangue e copie di Qualcuno volò sul nido del cuculo, fiamme che bruciano, pillole e abiti da sposa indossati al contrario. C’è la guerra, ci sono le aggressioni, il razzismo, le morti per strada. Ci sono “voci verdi nella pioggia, pioggia verde nelle voci”. C’è poi un Paese, l’America, che è “una stanza in cui si piange”, una stanza che, però, non ha ancora una porta da cui uscire.

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C’è infine, sempre costante, il senso di perdita, la scomparsa della madre che, in un certo senso, coincide con la perdita dell’identità di chi scrive: “Ciò che possederemo per sempre è qualcosa che abbiamo perso”, si legge nel componimento Teoria della neve, in cui l’autore si rivolge alla madre implorandole: “Promettimi che non svanirai di nuovo“. La sua immagine è un angelo nella neve destinato a dissolversi; lui l’unico superstite della tragedia, “l’ultimo dinosauro” condannato a morire ma che invece resiste, è ancora lì: “eccomi, io permango”.

In un’intervista al Time, Vuong ha raccontato di essere diventato uno scrittore perché “pieno di limiti“: si fa prendere dal panico facilmente, è dislessico, trova impegnative le scartoffie e le minuzie della quotidianità, ha lottato con la tossicodipendenza. La scrittura, però, è riuscita a tenerlo in vita.

https://www.youtube.com/watch?v=Sb289BY-twc

Grazie a essa l’autore si aggrappa a una forma di sopravvivenza, come se brancolasse nel buio e nel caos esistenziale, con un solo imperativo nella testa: “Mettilo sulla pagina, figlio“. Così, nonostante la tragedia, riesce a risplendere e a trovare uno spiraglio di comunicazione con l’altro: “un telefono a gettoni nel cuore della poesia“.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, una delle poesie della raccolta:

L’ULTIMA REGINETTA DEL GRAN BALLO DELLA SCUOLA IN ANTARTIDE

È vero che parlo un sacco & adotto il french tuck,
e allora? Come il vento, io cavalco
la mia vita. Luce elettrica al neon
sulla parte bagnata di un animale ucciso sull’asfalto,
sulla strada dove mi sono fatta le ossa
sul buon peccato. Voglio
accudire il nostro pianeta
perché ho bisogno di un leggiadro
cimitero. È vero che non sono una scrittrice
ma un rubinetto sott’acqua. Quando verrà il diluvio
alzerò le mani, così sapranno
a chi sparare. Il cielo manda lampi. Il mare
si strugge. Io stessa
sono inferno. Sono tutti qui. A volte
vado alle feste solo per far ciondolare i piedi
dalle finestre alte, tra la gente.
Questo ragazzo che piange in macchina
dopo il turno da McDonald’s
la domenica di Pasqua. Il modo in cui
si asciuga gli occhi con la camicia
mentre gli enormi autocarri barriscono sull’autostrada. L’oscurità
che preferisco è quella
dentro di noi, vorrei dirgli.
&: mi piace come il tuo grembiule
ti fa sembrare pronto ad andare
in guerra. Anche io sono pronta per la guerra.
Avessi una seconda chance, sceglierei la vita
in cui suono il pianoforte
in una sala senza tetto. Tasti rotti, una sonata
di Bach come passi svelti
giù per le scale mentre
mio padre bracca mia madre
attraverso le foglie senza fine
del New England. Forse ho visto un ragazzo
con un grembiule nero che piangeva in una Nissan
grande come la bara di un mostro & ho capito
che non sarei mai potuta essere etero. Forse,
come te, ero una di quelle persone
che ama al massimo il mondo
quando ha il morale a terra nella sua macchina veloce
diretta verso nessun posto.

(continua in libreria…)

Copyright © Ocean Vuong 2022
© 2023 Ugo Guanda Editore S.r.l., Via Gherardini 10, Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol

 

 

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Fonte: www.illibraio.it


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