“L’Isola di Altrove” di Karen Köhler: un canto contro l’oppressione

di Anna Maniscalco | 20.10.2020

Nascere in un luogo solitario, conoscere gli occhi che si hanno intorno ma nessuno all'infuori di quelli; ordinare la propria vita e il proprio tempo interno al ritmo della luna; sembra sia tutto lì, ma la protagonista senza nome di "L'isola di Altrove", il primo romanzo della drammaturga tedesca Karen Köhler, pubblicato da Guanda nella traduzione di Margherita Belardetti, sa che al di là del mare c'è una terra diversa... - L'approfondimento


Nascere in un luogo solitario, conoscere gli occhi che si hanno intorno ma nessuno all’infuori di quelli; ordinare la propria vita e il proprio tempo interno al ritmo della luna, del raccolto, e dei segnali che chi ha il potere dà. Potrebbe essere facile pensare che non ci sia nient’altro oltre a questo, che non ci siano altre possibili esistenze; ma la protagonista senza nome di L’Isola di Altrove, il primo romanzo della drammaturga tedesca Karen Köhler, pubblicato da Guanda nella traduzione di Margherita Belardetti, sa che al di là del mare c’è una terra diversa, una terra a cui forse lei stessa appartiene, dal momento che non è nata in nessuna delle famiglie del villaggio in cui abita.

Trovata dal Priore del Tempio in uno scatolone, avvolta nella carta di giornali che vengono da lontano e che parlano di cose che nessuno sull’Isola conosce, come guerre e mondiali di calcio, la giovane è cresciuta emarginata dagli altri abitanti. Insultata perchè priva di origini, impossibilitata quindi ad avere un nome secondo le severe leggi del Consiglio degli Anziani che regolano la vita nel villaggio, la ragazza non ha prospettive se non quelle dell’immediato presente: è l’assistente del Priore che l’ha trovata – un uomo talvolta burbero, talvolta fumantino, ma che la protegge e le vuole bene come un padre – e lo aiuta nella gestione del Tempio, nel dare i segnali dell’ora, dal momento che non esistono altri orologi sull’isola; cucina per lui e lavora nei campi. Davanti ai compaesani, per proteggersi, si auto-elimina: si rimpicciolisce, assume un’espressione vuota. Nessuno deve intuire che è una ragazza sveglia, che sta imparando a leggere e scrivere, perchè nel villaggio le donne non possono leggere.

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Köhler crea una società che si è distaccata dal mondo contemporaneo, e la colloca in mezzo al mare. Non sappiamo di preciso in che anni sia ambientato il romanzo, né dove (dalla descrizione della vegetazione, dalle colture e dal clima si potrebbe pensare di trovarsi al largo della costa greca, o turca): l’Isola è autosufficiente in sé, con il suo tempo, la sua geografia, e tutto il resto è Altrove.

Gli uomini sono negozianti, sono costruttori, gestiscono locali, aggiustano cose – detengono il potere, dal momento che il Consiglio degli Anziani è composto solo da uomini, e la conoscenza. Le donne lavorano l’orto, curano la casa, si riuniscono per fare il pane, cucinano. Il Consiglio degli Anziani decide i nomi dei nuovi nati, decide chi si sposa e con chi; il libro sacro è la Corabbia, e la tiene il Priore del Tempio. Ci sono dei righi neri sulla Corabbia, perchè alcune parti negli anni sono state espunte. All’inizio del mese i soldi vengono distribuiti alle famiglie, e a fine mese viene tutto restituito all’Ufficio preposto, che poi li redistribuisce nuovamente: in ogni caso, la forma di pagamento preferita è il baratto. Ogni tanto, un mercante arriva dall’Altrove con le cose che gli abitanti non riescono a coltivare o fabbricarsi da soli; il medico arriva una volta l’anno, per tutto il resto c’è un guaritore. Quando il mercante porta gli assorbenti, il Consiglio non li vuole comprare.

Non sappiamo quali siano state le origini dell’Isola, se ci sono state delle persone che in passato hanno abbandonato l’Altrove per formare questa società arcaica e rigidamente patriarcale, o se in un qualche modo è sempre stato così, e sono sempre riusciti a preservarsi in tal modo mentre il mondo esterno conosceva le rivoluzioni. Tutto è raccontato in prima persona dalla giovane senza nome, l’esclusa che osserva, rimugina. Dato che non ha una famiglia non può sposarsi, né possedere alcune cosa al di fuori dei vestiti che indossa: ma il Priore e Mariah, un’anziana del villaggio a cui è molto legata, le forniscono gli strumenti per costruirsi, pur senza un’identità. Loro si occuperanno del suo benessere fisico, prendendosi cura di lei, e della sua mente, formandola, ognuno dei due secondo la propria conoscenza. Saranno poi Sofia, una donna intrappolata in una relazione abusiva, e Yael, giovane novizio che incontra nelle notti di luna piena, a insegnarle invece gli affetti, il piacere. Yael sceglierà per lei un nome, Alina, e lei lo sceglierà come compagno, contro tutte le leggi dell’isola. E quando la situazione nel villaggio precipiterà, lei sarà in grado di avere la sua rivalsa.

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Il titolo originale è Miroloi, ossia mirologio, il canto funebre che ripercorre la vita del defunto: l’intero romanzo è infatti un inno, diviso in strofe, che celebra e ricrea il percorso di Alina, dall’esclusione e dalla violenza subita nell’infanzia – di cui porta ancora i segni nella gamba destra, per sempre azzoppata – verso una consapevolezza piena di sé, verso l’indipendenza che il villaggio nega alle donne e ancora di più a lei che fin dall’inizio è stata percepita come sbagliata. Le frasi si ripetono, melodiose, si mescolano le espressioni infantili che ancora usa (in fondo, si presuppone abbia sedici anni) alle parole nuove che viene a conoscere, alle esperienze che la fanno crescere.

Se anche è Yael a darle un nome, è Alina il centro di tutto, la vera forza motrice di se stessa, che assorbe quello che le donne della sua comunità possono offrirle, e lo rimette in circolo, rielaborandolo, per restituire anche a loro la possibilità di liberarsi.

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Con un lirismo del tutto particolare e una voce splendente e riconoscibile, Köhler inserisce il suo personaggio in un contesto impossibile e la fa esplodere. Pur in una comunità isolata, quasi priva di confronto con l’esterno, il desiderio di autodeterminazione è presente, innato. È così radicato che è disposto a bruciare, non solo per lei, ma per tutte le donne del villaggio, anche coloro che non la amano.

Il progresso arriva dall’esterno e da un lato minaccia il villaggio – l’introduzione della moneta che corrompe gli affari, l’ombra cupa del turismo –  mentre dall’altro si offre come strumento di affrancamento dalle fatiche quotidiane che impediscono alle donne di avere tempo per sé (e stabilire il tempo, si è visto, è potere).

L’ostilità degli uomini di fronte a tutto ciò che possa instillare una coscienza di sé nelle proprie mogli è una delle tante scintille che accendono la ribellione della giovane protagonista. Di fronte all’abbandono di alcune delle figure più centrali per lei, Alina, che non è mai stata una parte dello schema, è la vera eroina di una distopia che rovescia l’idillio di un canto pastorale, e deve trovare la strada che si adatta a lei, a quelli che sono i suoi bisogni; deve assumere su di sé la propria cura.

La conclusione di un tale percorso è imprevedibile; si apre come l’orizzonte.

Fonte: www.illibraio.it


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