“Virdimura”, dalla Sicilia la storia della prima donna medico della storia

di Francesca Cingoli | 06.02.2024

Simona Lo Iacono ci guida alla scoperta di una donna sola, illuminata e compassionevole: "Virdimura", realmente vissuta in Sicilia nel XIV secolo, quando la medicina e la scienza erano "cose da maschi". Incurante di chi la addita come strega, la protagonista realizza un progetto di medicina e di inclusione, di conoscenza delle diversità, insegnando come prendere parte alla grande liturgia della natura, promuovendo anche il potere della danza, della musica, della risata...


“Ero solo una donna. Razza di scartati, di unicorni, di mostri”.

Siamo tutti figli di un racconto, la nostra storia è una narrazione da cui inizia il nostro percorso di conoscenza, e di cura.

Il racconto di Simona Lo Iacono è un balsamo per l’anima, e non solo perché parla di arte medica. Nelle vicende di Virdimura, prima donna medico della storia, c’è la consapevolezza della bellezza del mondo, la contemplazione dell’invisibile, la misericordia che non conosce appartenenze.

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Virdimura (Guanda) racconta di una fimmina che non poteva diventare dutturissa, realmente vissuta in Sicilia nel XIV secolo, quando la medicina e la scienza erano cose da maschi. Invece maestro Urìa, medico ebreo, educa la figlia alla conoscenza delle erbe e delle sue proprietà, del corpo umano e dei suoi organi, ma anche al valore della poesia, del silenzio, della forza terapeutica di un sorriso. Lui, inviso dal potere catanese perché refrattario alle convenzioni e alle regole, curava tutti, anche i poveri, anche i miscredenti. Tutti uguali di fronte alla sua compassione, abituata a non separare l’anima dal corpo.

La sua bambina non poteva che crescere speciale, non banale come il nome nato dai segni del mondo che circondava Urìa, e di cui lui sapeva decifrare i messaggi e i presagi. Forte come le mura di Catania, verde come il muschio, Virdimura è destinata da subito a una vita sorprendente ma appartata, degna di una creatura misteriosa, viandante in mezzo alle rose.

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Virdimura è guardata con sospetto: una ragazza dai capelli rossi che acquisisce fin da piccola nozioni di guarigione, imparando a interpretare la natura e il linguaggio del corpo umano. Dal padre riceve una formazione scientifica e umanistica, che la fa sentire parte dello spazio immenso, dove bisogna saper ascoltare i racconti del cuore e dello spirito, come le tecniche tradizionali non sanno fare.

Simona Lo Iacono ci guida alla scoperta di una donna sola, illuminata e compassionevole: ben presto le ragazze di Catania la cercano, sapendo di trovare in lei comprensione. Sono sole, ebree e cristiane, disperate e dannate: i corpi violati sono marchiati per sempre, sono una condanna a morte, e Virdimura restituisce loro dignità, futuro, nel silenzio di una grotta. Nasce e prospera così, il mito di una donna che sa ascoltare, capire e curare, che ha imparato come la medicina richieda coraggio, e come la guarigione sia un viaggio anche per chi ne è portatore.

“Tutte chiedevano aiuto, e – in tutte – questo lamento era il dolore stesso della terra, ed essa, la terra, era un unico corpo piagato, il cui medico non poteva nulla, se non avvertirne la debolezza, per sanarla – più che con medicamenti – con la compassione.”

Incurante di chi la addita come strega, diavola, impura, Virdimura crea un ospedale che è una vera e propria casa dove sani e malati vivono e collaborano insieme, abitanti di uno stesso luogo, di una stessa relazione. Non c’è distinzione di religione, c’è invece un senso del divino che conosce nell’umano l’eternità, e la bellezza. Virdimura guarisce e istruisce, anche quando viene accusata di prostituzione, anche quando il suo ospedale viene considerato un luogo empio.

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Affiancata da Pasquale, amico di infanzia e poi marito, che si è formato in Oriente, tra popoli e nature diverse, Virdimura realizza un progetto di medicina e di inclusione, di conoscenza delle diversità, di sostegno e accettazione, insegnando come prendere parte alla grande liturgia della natura, promuovendo anche il potere della danza, della musica, della risata. C’è una ritualità umana nelle sue azioni, come nel suo amore, che si ripete ogni giorno e che si adempie vivendo insieme, e curando insieme, perché dove ci sono occhi di un malato, lì c’è “lo Dio delli padri”.

“Era come se ci legasse una forma strana di solennità, come se insieme celebrassimo – ogni giorno – un rito. Alzarci insieme, mangiare insieme, curare insieme. Cos’era questa ripetizione se non il mistero che noi stessi componevamo, e che solo in noi poteva sussistere?”

Anche quando la peste attacca Catania, Virdimura e Pasquale riescono a contenere il contagio, nonostante le accuse di chi vedeva la diffusione della malattia “manufatta dai giudii”. Non si fermano, non negano aiuto, interpretano i segni della malattia, identificandone le origini, combattendo ogni superstizione.

Non si è stranieri a nessuno, è l’insegnamento di maestro Urìa che Virdimura fa suo per tutta la vita, e che Simona Lo Iacono restituisce a noi in una storia di indipendenza e di fede nell’umano, con una prosa vivace, commossa, scandita dalla poesia della lingua vera, fortemente legata alla sua terra, capace di donare alla sua protagonista una voce possente.

Curare, perdonare, ringraziare: nella sua accorata relazione ai dottori che la devono valutare, Virdimura traccia i comandamenti di un credo dell’arte medica e della relazione umana. La sua licenza, che le permette di essere dutturissa, prima nella storia, è un riconoscimento a una vita sotto il segno dell’amore, del coraggio, del diritto alla cura, e di una felicità che arriva “se ti consegni agli indifesi e ai miti”.

“Lo Dio stava in quel luogo che i dutturi evitavano per non contagiarsi con il disonore. Stava nei letti disfatti. Nella resa delle più anziane. Nel trucco sbavato. Stava dove nessuno voleva stare.”

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Fonte: www.illibraio.it


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