Galateo storico e filosofico sulle cose della tavola: a proposito del brindisi… – di Ilaria Gaspari

di Ilaria Gaspari | 17.05.2024

Parte dall'euforia di Mark Twain per un originale brindisi datato 15 novembre 1879 la riflessione della scrittrice Ilaria Gaspari per il nuovo numero della rivista di cultura gastronomica "L’Integrale". Come fa notare l'autrice, esempi alla mano, la storia del brindisi si intreccia ad antiche spire antropologiche... - La sua riflessione



Il 15 novembre 1879, prima che il cielo di Chicago si schiarisca nell’alba, Mark Twain scrive alla moglie Olivia una lettera vibrante: «Livy cara, credo che questa sia la notte più memorabile della mia vita», esordisce, senza la remora che lei possa adombrarsi. La ragione di tanta euforia è il brindisi con cui lo scrittore ha preso parte ai festeggiamenti in onore del generale Grant.

Dobbiamo supporre che i presenti fossero già alticci, quando Twain prese la parola: a lui era stato assegnato il quindicesimo e ultimo brindisi della serata. Lo dedicò ai bebè (to the babies), anziché, come richiesto, alle signore (to the ladies), in un afflato d’inclusione: «Non tutti abbiamo avuto la fortuna di essere signore […] ma se si brinda ai bebè, siamo su un terreno comune.»

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Al trionfo mondano forse contribuì il tasso alcolico degli ascoltatori; una parte importante, però, la giocò la torsione dell’identità dei destinatari. La scelta di brindare ai babies spiazzò l’uditorio: che di brindisi alle signore, al di là dei quattordici precedenti, doveva averne ascoltati a bizzeffe.

Il brindisi standard è un brindisi to the ladies, un omaggio galante. E nel tempo si è intrecciato anche alla parola inglese usata come invito a bere, toast.

All’inizio del Settecento, Richard Steele ricostruì la storia dell’espressione sul suo giornale, il Tatler. Secondo la sua versione, nacque dallo scambio di battute fra due gentiluomini al cospetto di una celebre bellezza immersa in un bagno termale (nel Grand Dictionnaire de cuisine, Dumas suggerisce che fosse Anna Bolena). Il primo uomo tuffa la tazza nell’acqua termale e beve alla salute di lei; l’altro risponde che all’acqua preferisce il toast, riferendosi alla bella a mollo, e paragonandola implicitamente alla fetta di pane tostato che si usava immergere, probabilmente sin dal Medioevo, nella coppa di una bevanda alcolica, per lo più vino aromatico, prima di farla circolare fra sodali: all’ultimo convitato, l’onore di mangiare il pane.

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Questa tradizione galante oggi ci sgomenta per solide ragioni legate alla mutata percezione del sessismo e dell’igiene; ma nella storia del brindisi si intreccia ad antiche spire antropologiche. Dall’antichità i calici si levano in segno di devozione agli dèi; i romani, più prosaici, riportano a terra l’omaggio dedicando le libagioni a personaggi pubblici in carne e ossa. Da ben prima di avere un nome, insomma, l’usanza esisteva, carica di significati apotropaici come si conviene in prossimità del dionisiaco.

Non si brinda con l’acqua, per esempio. Una superstizione diffusa, le cui radici invisibili ci lasciano soli con l’enigma di una prescrizione di bon ton, vuole che chi lo fa si candidi a morire per annegamento. Il galateo trattiene tracce di credenze magiche, che si risvegliano nell’atto di incocciare i bicchieri. Gesto semplice, incantesimo euforizzante che coinvolge nel tintinnio i cinque sensi; piccolo rituale sincretico, con tutte le varianti della formula augurale in cui si annodano le lingue. Prost (dal latino prosit) dicono, i tedeschi a cui dobbiamo il nostro brindisi, che non ha nulla a che vedere con il nome antico dell’omonima città, ma viene dal germanico bring dir’s, ovvero: porto (il bicchiere) a te.

l'integrale splash

IL NUOVO NUMERO DELLA RIVISTA – L’Integrale è una rivista-libro di cultura gastronomica, edita da Iperborea e sostenuta dal panificio di Davide Longoni, che punta a ripensare la scrittura di cibo liberandola dalla sola nicchia di appassionati e spaziando tra linguaggi e generi, dal giornalismo alla letteratura. Ogni numero è dedicato a un tema e raccoglie saggi, racconti, reportage, approfondimenti storici e scientifici per esplorare, col pretesto di quello che mangiamo e cuciniamo, storie umane e fatti rilevanti della contemporaneità.

Il nuovo numero, dal titolo Splash (a cura di Diletta Sereni, con le illustrazioni di Gianluca Cannizzo), da cui è tratto il pezzo di Ilaria Gaspari*, si tuffa nei numerosi e vari intrecci tra il cibo, il mare e le altre acque. Acque da solcare, da difendere, acque che sommergono e poi lasciano riemergere qualcosa. Mari che hanno fatto la storia agricola delle terre che ne sono circondate, mari popolati da fantasmi epici e da mitomanie ingegneristiche; mari di fatica, mari di scoperta, navi dove le provviste dovevano bastare fino alla fine del viaggio, senza sapere quando il viaggio sarebbe finito.

Acqua da togliere e rimettere per conservare gli alimenti, ma anche come esercizio di memoria; acqua da degustare, trasformata da alimento primario in un prodotto di lusso o di moda. Acqua che bolle in una grande pentola per assorbire i sapori che vi sono immersi, e inventa il primo ristorante per come lo conosciamo. Acqua che manca, per anni decenni secoli, e la mancanza apre crepe nella terra arida per farci nascere qualcosa di nuovo.

Con i contributi Davide Coppo, Gabriella Dal Lago, Lavinia Fagiuoli, Alessandro Marzo Magno, Valerio Millefoglie, Virginia Mendoza, Leonardo Piccione, Rachel Roddy, Gabriele Rosso, Nadia Terranova, Luca Trevisani. E rubriche di Teresa Bellemo, Christian Bucci, Fontanesi, Davide Longoni, Tommaso Melilli e Marco Rossari.

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Copertina La reputazione di Ilaria Gaspari

L’AUTRICE Ilaria Gaspari*, scrittrice, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Dal 2015 collaboratrice de ilLibraio.it, scrive per diverse testate e collabora con radio, tv e scuole di scrittura. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno), Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioni. Nel 2022 per Giulio Perrone editore è uscito A Berlino – Con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Con Emons, (e con il sostegno dell’Institut Français Italia), sempre nel 2022, ha curato e condotto il podcast Chez Proust. Per la collana digitale Quanti di Einaudi ha inoltre pubblicato il saggio breve Cenerentole e sorellastre – Una botanica della bellezza.

Guanda ha da poco pubblicato il suo nuovo romanzo, La reputazione, in cui la scrittrice affronta temi stringenti della nostra contemporaneità, e lo fa in una prosa capace al tempo stesso di profondità e leggerezza: nella Roma degli anni Ottanta, la boutique Joséphine è un angolo di Parigi nel cuore dei Parioli; gli affari vanno a gonfie vele grazie al fiuto della proprietaria, Marie-France, che accoglie le clienti con il suo seducente accento francese. Il suo entusiasmo contagia l’indecifra­bile socio Giosuè e le tre ragazze che lavorano per lei, ansiose di conquistarsi libertà e indipendenza. Tra loro Barbara, eter­na laureanda in filosofia arrivata in negozio per caso, pronta a lasciare che Marie-France le insegni a vivere. Imparerà da lei che la moda è tutt’altro che una faccenda frivola: è un rito, un gergo, un sogno, un segreto… Per chi come Marie-France ne ha fatto una missione, è un antidoto al dolore, all’angoscia di scomparire, ai cambiamenti che il tempo infligge.  Tutto procede per il meglio, finché Marie-France non ha un’idea che si rivelerà catastrofica: aprire una linea per adolescenti. Giorno dopo giorno, la superficie della serenità apparente comincia a incrinarsi. Compaiono strani messaggi in codice, minacce, e intorno alla boutique si diffonde una calunnia infamante che non risparmia nessuno. Le voci serpeg­giano e nel quartiere cresce l’ostilità verso Marie-France e i suoi. Una ragazzina scompare: c’è una re­lazione con quel che si dice in giro?

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Con La reputazione Gaspari indaga sul rapporto tra apparenza e identità, sul peso della maldicenza e sulla difficile conquista ­della maturità. Cosa succede quando la diffidenza in­quina lo sguardo, quando i confini fra le colpe e i pettegolezzi si fanno labili, quando fidarsi significa rischiare? Barba­ra non è pronta a scoprirlo, forse non è pronta a diventare adulta, eppure non avrà scelta…

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Fonte: www.illibraio.it


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