Succede una notte di inizio marzo del 1953. Il fruscio della puntina scava il solco di un disco che gira a vuoto. Si direbbe che l’uomo riverso sul divano sia addormentato se non fosse per la mano inerte. Nella dacia di Kuntsevo tutto è silenzio ormai. La neve cade senza tregua, copre ogni rumore, tranne quell’insistente strofinio sulla gommalacca del 78 giri ascoltato così tante notti, e anche quell’ultima. Mozart, chissà per quali vie segrete, era riuscito a giungere nella zona oscura dell’anima di Stalin. Ma a turbarlo non era soltanto la musica. Era chi la eseguiva: la pianista Marija Judina. Intrecciando documentazione storica e libertà narrativa, questo libro racconta la storia di una donna appassionata e ribelle, una «monaca» in scarpe da ginnastica innamorata di Dio e di Bach, paladina di tutte le avanguardie. Il ritratto di un’artista eccentrica, protagonista di tempi roventi.
Giuseppina Manin udì il nome di Marija Judina durante la Biennale di Venezia 2013, e fu per sempre. Per sempre, chi scrive è stato conquistato dal libro di Giuseppina Manin e dal suo stile.
Un romanzo che apre uno squarcio inedito sulla Russia staliniana attraverso la figura di una grande musicista