«Non c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco…» C’è un peso che non si può perdere, anche quando l’hai perso tutto. Matilde lo sa: la mamma, bulimica, passa le giornate a vomitare; lei ha cominciato a ingrassare quando aveva sei anni ed è affamata da una vita. A scuola elemosina biscotti, a casa ruba il pane, e intanto sogna che le taglino la mano. Ottanta chili a sedici anni, a diciotto quarantotto; Matilde va in America a studiare, splende, ma la fame e la paura le vengono dietro. Finché, dopo la morte della madre, il tracollo finanziario del padre e una relazione violenta, supera i centotrenta chili. E quando esce, c’è sempre qualcuno che la guarda con disprezzo. Allora Matilde si chiude in casa per tre anni, e sui social si finge normale. Ma che vuol dire normale? Un romanzo crudo e potente tra due lingue e due culture, tra gli anni Settanta e oggi. Un libro vorticoso tra perfezionismo, autolesionismo, menzogna e dipendenze.
Leggo Costanza Rizzacasa d’Orsogna e mi pare di trovare le parole per tutto quello che mi ha fatto e mi fa davvero male
Costanza Rizzacasa d’Orsogna alza il velo su corpi che non si vogliono vedere, senza falsi pudori e con voce potente di scrittrice.
Una storia di tremenda potenza.
Un vorticoso e ipnotico viaggio nel dolore, nella follia e nel perfezionismo: imperdibile.
La nascita di una scrittrice che sulla pagina non sbaglia mai misura, se di misura vogliamo parlare.
Sono stata una bambina grassa, un’adolescente grassa, sono una donna grassa. Ho mangiato per noia, per ansia, per dolore. Perché cos’è la fame se non un’emozione?
Mentire, mentire. In quei tre anni che mi sono chiusa in casa ho mentito su tutto. Falsificavo l’estratto conto col bianchetto, affinché mio padre e mio fratello non vedessero quanto spendevo in farmacia, e al supermercato per mangiare. E se vi stessi mentendo anche adesso?
Mentire, mentire. In quei tre anni che mi sono chiusa in casa ho mentito su tutto. Falsificavo l’estratto conto col bianchetto, affinché mio padre e mio fratello non vedessero quanto spendevo in farmacia, e al supermercato per mangiare. E se vi stessi mentendo anche adesso?