Il 21 marzo del 1918 l’esercito tedesco sferra la prima delle grandi offensive di primavera sul fronte occidentale, con l’obiettivo di sfondare le linee alleate e penetrare in profondità. Dopo l’estenuante guerra di trincea, la prospettiva della battaglia in campo aperto esalta e atterrisce soldati e ufficiali, consapevoli di giocarsi il tutto per tutto in un inaudito dispiegamento di truppe e mezzi, che sembra assegnare alla tecnica un ruolo decisivo. È un’esperienza unica, «che coinvolge la carne e il sangue» e forgia destini individuali e collettivi. In questo romanzo del 1925, Ernst Jünger, pluridecorato sottotenente della Wehrmacht, rielabora i propri ricordi in una prosa nitida e solenne, prestando la propria voce all’io narrante e dando modo al lettore di ripercorrere quei tremendi istanti in tutta la loro drammatica fatalità. Sebbene l’entusiasmo del 1914 sia ormai irrimediabilmente perduto, cresce in prossimità dell’attacco la consapevolezza della superiorità dell’uomo sul «materiale» e della sua sorprendente capacità di resistenza. Così, alla vigilia della battaglia, si può ancora assaporare un momento di perfetta solitudine nella natura, incantevole per l’imminente risveglio stagionale, ma anche un ultimo brindisi con i camerati, «nella fratellanza del sangue». E dopo aver combattuto, regna la sensazione di un «pieno compimento», come al «cospetto di una morte indolore dopo una lunga vita».
Tra celebrazione della morte, e della vita, il destino dei soldati in un capolavoro.
«Sono felice di poter vivere quest'ora qui, in pace, e di non dover stare laggiù, nelle trincee, dove adesso sibilano in alto le prime pallottole traccianti e la terra frolla precipita con un tambureggiare monotono nell'acqua fangosa del sottosuolo. Laggiù certamente è la battaglia in corso che scaccia via tutto il resto. Le stagioni passano oltre in silenzio e la primavera si annuncia solo per il fatto che le nuvole di shrapnel si levano più fitte nel cielo. Perché per il guerriero la primavera è il tempo dei grandi assalti.»