«Vi hanno mandato loro?» chiede Tom il Greco ai due sconosciuti che bussano alla porta della sua casa di vacanza in Québec. «Loro» sono gli uomini della Cia, l’Agenzia che Thomas Karamessines, detto il Greco, ha servito per tutta la vita. C’era proprio lui, infatti, a capo della stazione di Roma quando, tra il 1961 e il 1963, con la morte di Mario Tchou, l’attentato a Enrico Mattei, le incriminazioni e le condanne di Felice Ippolito e di Domenico Marotta, l’Italia perdeva di colpo ogni competitività in campo scientifico, politico ed energetico, avviandosi verso il declino attuale. Una semplice coincidenza? O dietro quel punto di svolta così drammatico per il nostro paese si nascondeva la longa manus della Cia e di Tom il Greco?
Dopo l’Italia, una lunga carriera avrebbe portato Karamessines a giocare un ruolo anche nei misteri più bui della politica internazionale, dall’assassinio di Kennedy alla cattura di Che Guevara e al golpe in
Cile. Ci sono, però, intrighi e segreti di stato che nemmeno gli uomini più scaltri riescono a tenere sotto controllo. Segreti che, in ore estreme, quando quei due sconosciuti bussano alla sua porta, non ha più senso nascondere. A partire da questa figura sfuggente, l’ossessione di un protagonista che ha lo stesso nome dell’autore si trasforma in una lunga indagine, e in un romanzo che intreccia i «fatti» con le zone oscure degli eventi, illuminate dall’immaginazione. Perché, come sostiene Sciascia, non sono tanto i fatti quanto «i fantasmi dei fatti» a costituire la vera materia della letteratura.
Leale fino in fondo, Thomas Karamessines. Con un carattere brusco, complicato. Chiuso come una vongola. E va’ a capire che cosa gli passava per la testa, adesso. Toccava a noi scoprirlo, convincerlo a ogni costo a non aprire bocca, a non mollare l’osso. Però non era facile.
Avevo l’impressione che un mondo stesse finendo. Il mio mondo. Con il nuovo secolo, si stava voltando pagina. E io ero nella pagina da voltare.
Adesso era lì, davanti a noi, forse a rimpiangere i giorni dell’azione, perfino il passato più torbido, sapendo che il suo tempo era finito. Sembrava un calciatore messo fuori squadra perché troppo vecchio per giocare. O magari era deluso dal fatto che alla fine, dopo più di trent’anni di servizio, nessuno l’aveva nemmeno ringraziato. Perché nel nostro mestiere non esiste la gratitudine...